Nel discorso tenuto ieri 15 settembre dal Presidente Mattarella durante l’Assemblea Generale di Confindustria, una prima assoluta per un presidente della Repubblica, è forte il richiamo a una Economia che sia sempre più Civile, che si allontani dal “Capitalismo da rapina”.
È questo il monito del Pres. Mattarella.
È questo il monito del Pres. Mattarella.
L’Italia d’altronde ha forti radici nel paradigma dell’economia civile risalenti nell’Italia Illuminista di metà del Settecento e numerosi esempi di imprenditori illuminati civili.
L’Economia civile, a differenza dell’economia capitalistica che mira al bene totale, persegue il bene comune. Non si tratta della somma dei livelli di benessere raggiunti dai singoli (il bene totale dell’economia capitalista), ma dell’insieme delle condizioni di vita dell’intera società, che favoriscono il benessere e il progresso umano di tutti i cittadini, ponendo al centro dell’agire economico la persona, i suoi bisogni, le sue aspirazioni. Un’economia che garantisce biodiversità economica, poiché foriera di imprese civili (imprese sociali e società benefit) capaci di dispiegare il loro potenziale di soggetti d’impresa non più finalizzati al solo profitto ma anche alla produzione di utilità sociale e beneficio comune.
L’economia reale diventa economia civile ogniqualvolta un’impresa, un’organizzazione, un consumatore, una scelta individuale riesce a fare il “salto della gratuità” e suscitare rapporti di reciprocità.
L’economia civile auspica un bilanciamento, un rinnovato sguardo sul fare impresa che porti a trasformare l’agire imprenditoriale da semplice mezzo di profitto a fine mettendo al centro la persona. È la strada che può garantire alla persona uno sviluppo completo, il soddisfacimento dei suoi bisogni materiali, socio-relazionali ed esistenziali e all’impresa una crescita armonica e al riparo dalle crisi di periodo.
Parte del discorso
Citando Luigi Einaudi “È necessario che gli italiani non credano di dover la salvezza a nessun altro fuorché se stessi” e Franklin Delano Roosevelt “la sola cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa, l’irragionevole e ingiustificato terrore senza nome che paralizza gli sforzi necessari a convertire la ritirata in progresso”, il suo discorso diventa, a mio parere, il manifesto cui l’imprenditoria italiana deve orgogliosamente ispirarsi e “praticare”:
“L’impresa è lo spazio democratico in cui i valori del bene comune e della responsabilità sociale devono manifestarsi nella loro concretezza unitamente all’intento di proporre un mercato del lavoro “inclusivo”, specialmente per giovani e donne – che renda quindi effettivo il diritto al lavoro – induce alla consapevolezza che i luoghi di vita, le persone, i cittadini che li animano, sono parte, irrinunciabile, del progetto di coesione sociale, di libertà, di diritti e di democrazia della Repubblica.
La democrazia si incarna nei mille luoghi di lavoro e di studio.
Nel lavoro e nella riflessione dei corpi sociali intermedi della Repubblica.
Nel riconoscimento dei diritti sociali.
Nella libertà d’intraprendere dei cittadini.
Prima di ogni altro fattore, a muovere il progresso è, infatti, il “capitale sociale” di cui un Paese dispone.
Un capitale che non possiamo impoverire.
È una responsabilità che interpella anche il mondo delle imprese.
Le aziende sono al centro di un sistema di valori, non soltanto economici.
Le imprese sono veicoli di crescita, di innovazione, di formazione, di cultura, di integrazione, di moltiplicazione di influenza, fattore di soft-power.
E sono, anche, agenti di libertà.
Generare ricchezza è una rilevante funzione sociale.
È una delle prime responsabilità sociali dell’impresa.
Naturalmente, non a detrimento di altre ricchezze, individuali o collettive.
Non è il capitalismo di rapina quello a cui guarda la Costituzione nel momento in cui definisce le regole del gioco.
Il principio non è quello della concentrazione delle ricchezze ma della loro diffusione.
Il modello lo conosciamo: è quello che ha fatto crescere l’Italia e l’Europa.
Il bilancio che ne va tratto non interpella i singoli stakeholder aziendali ma si rapporta all’intero sistema economico e sociale.
È quel concetto ampio di “economia civile” che trova nella lezione dell’illuminismo settecentesco napoletano e, puntualmente, in Antonio Genovesi, un solido riferimento.
Qual è un principio fondamentale della democrazia?
Evitare la concentrazione del potere, a garanzia della libertà di tutti.
Vale per le istituzioni.
Vale per le imprese.
L’impresa è una formazione intermedia nella nostra società, un corpo sociale di quelli richiamati dalla Costituzione che contribuiscono alle finalità da questa definite, concorrendo al soddisfacimento di bisogni.
Lo Stato coordina gli interessi e le necessità di ciascuno degli interlocutori, orientandoli al soddisfacimento delle istanze delle comunità.
Poc’anzi ho richiamato il tema sostanziale del rapporto sostanziale tra economia e istituzioni.
L’impresa, non a caso – è stato ricordato – è normata nella Parte I della Costituzione: quella sui diritti e i doveri dei cittadini.
L’art. 41 scandisce che l’iniziativa economica privata è libera. Che non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
Cosa significa libera?
Significa che non vi è più bisogno di “regie patenti”, come ai tempi medievali, per esercitare una professione, un’attività, un’impresa.
Significa che la Repubblica ha spostato dal Sovrano al cittadino il potere di scegliere, di decidere.
Significa evadere dal dirigismo economico e dal protezionismo tipico delle esperienze autoritarie.
Significa trasferire sul terreno dell’economia il principio di libertà.
La Costituzione opta decisamente per un’economia di mercato in cui la libertà politica è il quadro entro cui si inserisce la libertà economica, le attività con le quali le imprese partecipano, come si è detto, a raggiungere le finalità delineate nella Prima parte della Costituzione.
Ma attenzione: in quali condizioni si attua il precetto costituzionale?
Quando i poteri pubblici assicurano qualità nei servizi; efficacia, efficienza e chiarezza del sistema normativo; quando viene garantita sicurezza contro le forme assunte dalla criminalità; quando l’efficacia sanzionatoria verso comportamenti scorretti è equa e incisiva.
Sono temi che conoscete bene e che richiedono ancora impegno per il loro pieno conseguimento.
Si è discusso a lungo sull’esistenza di una “Costituzione economica” separabile dal resto della Costituzione.
Sarebbe davvero singolare immaginare percorsi separati per lo sviluppo dei rapporti economici, quelli politici, quelli sociali.
Al centro della Costituzione vi sono, difatti, i diritti della persona umana non quelli del presunto “homo oeconomicus”.
Ecco, quindi, il riferimento all’utilità sociale. Era l’Abate Galiani a dirci – anche lui nel ‘700 – che “la tirannide è quel governo in cui pochi diventano felici a spese e col danno di tutto il rimanente, che diventa infelice”.
Il crescere delle disuguaglianze rischia di rendere attuale questo scenario.
Le imprese non sono estranee all’art.3 della Carta che ricorda come sia compito della Repubblica – in tutte le sue articolazioni pubbliche e di spontanea attività e iniziativa privata – “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
L’Italia progredisce e si sviluppa con il dialogo tra le parti sociali.
Vanno tenuti ben presenti – sempre e da tutti, in ogni ambito – i doveri descritti all’articolo 2, dove si esige ” l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
L’economia di mercato, cioè, non pone in discussione valori costituzionalmente rilevanti, quali il rispetto della dignità umana e il dovere di solidarietà. O l’art. 35, relativo alla tutela del lavoro, il 36, sulle condizioni di lavoro, o il 37 sulla donna lavoratrice.
È anzitutto il tema della sicurezza sul lavoro che interpella, prima di ogni altra cosa, la coscienza di ciascuno. Democrazia è rispetto delle regole, a partire da quelle sul lavoro.
Indipendentemente dall’ovvio rispetto delle norme, sarebbero incomprensibili imprese che – contro il loro interesse – non si curassero, nel processo produttivo, della salute dei propri dipendenti.
Incomprensibili se non si curassero di eventuali danni provocati all’ambiente, in cui vivono e vivranno.
Incomprensibili – e di breve durata – se non sapessero guardare al futuro.
Fuor di logica se pensassero di non dover rispondere ad alcuna autorità o alla pubblica opinione, in merito a eventuali conseguenze di proprie azioni.
Con eguale determinazione vanno rifiutate spinte di ingiustificate egemonie delle istituzioni nella gestione delle regole o, all’opposto, di pseudo-assolutismo imprenditoriale, magari veicolato dai nuovi giganti degli “Over the top” che si pretendono, spesso, “legibus soluti”.
Democrazia e mercato – scrive, nel suo ultimo libro, Martin Wolf – hanno in comune l’idea di uguaglianza e concorrono entrambi alla sua attuazione.
Non c’è bisogno di particolare acume per osservare che gli imprenditori sono attori sociali essenziali nella nostra società.
Basta pensare anche soltanto alla crisi della pandemia che abbiamo attraversato quando, insieme ad altre categorie, avete evitato che l’Italia si fermasse.
Non siamo un Paese senza memoria.
Ho più volte ringraziato quanti negli ospedali, nei servizi, nelle aziende, nelle catene della logistica, nella pubblica amministrazione, hanno fatto sì che fronteggiassimo quell’improvvisa, sconosciuta e drammatica insidia.
Grazie a voi. Che avete avuto coraggio, che avete anche fatto delle vostre fabbriche dei centri vaccinali in supporto a quelli pubblici!
Grazie ai lavoratori delle vostre aziende che hanno assunto, con altrettanto coraggio, la propria quota di rischi!
Siete stati, poi, protagonisti di una ripresa prodigiosa e positivamente contagiosa, senza eguali nei G7.
Adesso tante imprese sono state colpite da alluvioni. Le avversità si manifestano su più fronti.
L’interrogativo è: la nostra comunità è adeguatamente resiliente?
È sufficientemente desiderosa di futuro, di voler guardare avanti?
Abbiamo fiducia nel nostro Paese e nel suo futuro; e sapere di avere il mondo dell’impresa impegnato, con convinzione e con capacità, per il progresso dell’Italia, è motivo di conforto e di grande apprezzamento.
Auguri!” Sergio Mattarella, PdR
O è Civile. O non è Economia. (Scuola di Economia Civile)