Il 21 maggio 2024 si è concluso il periodo di pubblica consultazione che EFRAG ha promosso pubblicando il 21 gennaio 2024 la bozza sullo standard volontario di sostenibilità per le SME non quotate (VSME ED.)
Il 10 maggio 2024 OIC, EFRAG, Assonime e Università Luiss Guido Carli hanno realizzato un convegno molto interessante sul tema del reporting di sostenibilità delle SME non quotate.Il focus dell’evento è stato fare un punto sulla bozza di questo standard volontario, elaborato da EFRAG affinché le PMI dispongano di uno standard semplice per rendicontare sui temi ESG. Oltre a porsi l’obiettivo di creare una cultura della sostenibilità nella gestione delle imprese, con tale progetto l’EFRAG mira ad eliminare le difficoltà delle SME nel soddisfare la domanda di dati da parte, da un lato, di finanziatori e investitori, e dall’altro, delle grandi imprese della cui catena del valore fanno parte.
Processo di elaborazione dello standard volontario
È emerso che lo standard dovrebbe supportare l’economia reale facilitando l’accesso alla Finanza Sostenibile.
Il Voluntary SME ha un duplice obiettivo:
- da un lato, fornire uno strumento che agevoli il dialogo con le varie controparti e riduca la complessità delle comunicazioni con chi richiede dati;
- dall’altro, fornire agli imprenditori una serie di indicatori elementari rispetto al modello base obbligatorio, che permettano una comprensione immediata del proprio livello di sostenibilità, aiutando così le PMI a compiere i primi passi nel mondo della sostenibilità.
Il processo di elaborazione dello standard è iniziato dall’ESRS delle grandi imprese. Per ogni requisito di divulgazione, ci si è chiesti quali argomenti fossero considerati nella CSRD e se i vari datapoints fossero richiesti dai diversi stakeholder (soprattutto dagli investitori) o da normative specifiche (CSRD, benchmark o pillar3). In caso di risposte affermative, quei datapoints sono stati inclusi nel Voluntary SME. Successivamente, si è valutato se il datapoint fosse indispensabile per preservare l’integrità della reportistica sulla catena del valore delle grandi imprese. Anche in questo caso, se la risposta era affermativa, il datapoint veniva considerato.
Pertanto, all’interno del Voluntary SME sono stati presi in considerazione 10 Disclosure Requirements su 84 totali che hanno una componente di value chain. Gran parte dei datapoints sono relativi all’impresa stessa e alle sue operations, altre come SBM1, SBM2 e IRO1 riguardano la strategia, l’approccio ai clienti e ai prodotti, tutte informazioni di conteso essenziali per il lettore per comprendere l’esposizione al rischio di impatto e ai rischi e opportunità. L’assunto della consultazione è arrivare a uno standard che consenta all’impresa di effettuare validamente un’analisi di materialità senza richiedere informazioni dalle controparti della value chain, da distinguere però dalle informazioni da raccogliere direttamente da una controparte della value chain.
Da qui, poi, emerge l’importanza delle basi dati che svolgeranno un ruolo chiave per la messa a terra di tutto ciò, senza dover richiedere ogni anno alla controparte i dati necessari per la reportistica annuale. La necessità di conoscere il proprio fornitore o cliente, ad esempio per una banca, deriva primariamente da aspetti di business e non di reportistica.
In altri ambiti come policies, actions e targets, il requisito del VSME è di descrivere ciò che l’impresa fa, se ha un target che coinvolge controparti della value chain fornitori – e quindi la policy, le azioni e i target coinvolgono attori della value chain il reporting lo rifletterà; viceversa se l’impresa non ha controparti coinvolti la stessa andrà a dichiarare nel report che non ha dato target ai propri fornitori su un determinato aspetto.
Nell’ambito della valutazione dell’effetto value chain costi-benefici si è tenuto conto, in questo standard, di quali possano essere gli elementi incrementali che derivano dagli ESRS che non sono già nelle richieste di dati presenti in altre normative e necessità gestionali di filiera di fornitura. Gli ESRS hanno solo fornito un quadro di sistematizzazione delle varie richieste normative a livello europeo e limitare le informative addizionali per la value chain. Infatti, un obiettivo della VSME è quello della standardizzazione dei questionari dei partner commerciali (finanziatori, investitori e capi filiera) quindi ciò deve essere visto come un supporto e non come una maggiore burocratizzazione delle attività d’impresa con norme regolamentari per avere un unico questionario piuttosto che una moltitudine quindi è un aiuto di sistemizzazione di funzioni. Importanti poi saranno anche gli aspetti settoriali, perché non può esserci uno standard volontario o obbligatorio che possa essere esaustivo indipendentemente dagli specifici settori.
Oltre alla consultazione pubblica, EFRAG ha preparato questionari online e la partecipazione al field test per la redazione del reporting di sostenibilità in base alle regole delineate nella bozza di principio. La partecipazione al test sul campo, aperta fino al 31 gennaio 2024, consente di testare la fattibilità, i costi, le sfide, i benefici e l’utilità delle singole divulgazioni proposte, condividendo esperienze e feedback attraverso workshop o interviste. Il field test è consistito nel preparare entro il 21 aprile 2024 parte delle informazioni contenute negli standards e, su tale base, rispondere al questionario per la prova sul campo VSME. L’attività di testing dovrebbe fornire indicazioni concrete per affinare ulteriormente il contenuto dello standard in bozza. Questo garantirebbe che lo standard sia pragmatico e attuabile per le piccole e medie imprese (PMI), ottimizzando così gli oneri legati al reporting di sostenibilità per queste imprese. Inoltre, supporterebbe i fabbisogni informativi degli stakeholder delle PMI, facilitando il rilascio delle informazioni necessarie per la redazione del loro reporting di sostenibilità. Questo è particolarmente importante considerando che le PMI operano spesso come sub-fornitori all’interno della catena del valore, e pertanto hanno un ruolo cruciale nel fornire dati essenziali per il reporting di sostenibilità delle imprese maggiori.
In risposta a queste esigenze, sono state sviluppate diverse iniziative e piattaforme. Un esempio è OpenES, una piattaforma promossa da società leader di filiera, che funge da sistema di raccolta e di education delle informazioni di sostenibilità. Queste piattaforme aiutano a creare importanti banche dati, facilitando la condivisione e l’aggregazione di dati rilevanti.
È importante notare che sia la CSRD che gli ESRS prevedono un approccio graduale e proporzionale per l’applicazione delle normative. Questo significa che, se nei primi tre anni le imprese non riescono a fornire tutte le informazioni richieste sulla catena del valore, possono comunque descrivere gli sforzi compiuti per ottenerle. In questi casi, possono essere utilizzate stime e proxy raccolte da fonti esterne, rendendo essenziali le banche dati pubbliche accessibili a tutti.
Un punto cruciale riguarda poi le banche, che devono segnalare la quota di esposizione verso attività sostenibili. Per adempiere ai loro obblighi di sostenibilità, le banche devono rivolgersi alle imprese finanziate per ottenere le necessarie informazioni. Inoltre, la Sustainable Finance Disclosure Regulation (SFDR) impone ai gestori di attivi di fornire informazioni su come la sostenibilità viene integrata negli investimenti, documentando il grado di sostenibilità delle imprese presenti nei loro portafogli. L’integrazione della sostenibilità nei processi aziendali e finanziari non è solo una questione di conformità normativa, ma rappresenta anche un’opportunità per le imprese di migliorare la loro competitività e reputazione. Le piattaforme di raccolta e le banche dati giocano un ruolo fondamentale nel supportare le imprese in questo percorso, facilitando la condivisione delle informazioni e promuovendo la trasparenza lungo l’intera catena del valore.
Un aspetto chiave è altresì l’analisi di materialità, che rappresenta il primo passo per creare consapevolezza e cultura all’interno dell’organizzazione su tematiche di sostenibilità, altrimenti difficili da interiorizzare. La sostenibilità non deve essere vista dalle imprese come un obbligo o un adempimento normativo, ma piuttosto come un’opportunità in cui credere effettivamente. È quindi prioritario interrogarsi su ciò che è materiale per l’impresa in termini di impatto, rischi e opportunità. Da questa consapevolezza nascono opportunità di nuovi servizi e prodotti, oltre a una gestione corretta delle risorse. Anche una piccola impresa dovrebbe riflettere su questi temi e produrre informative coerenti con la materialità, trovando il giusto compromesso con quanto richiesto dalle controparti, come ad esempio le banche, per le quali queste informazioni sono fondamentali.